Centurioni, i difensori di Roma

Trattavano con durezza i loro uomini, ma erano i primi ad attaccare e ad affrontare la morte quando il nemico incalzava. Il potere militare di Roma si fondava su questi soldati, che godevano della stima di generali e imperatori

Nell’estate del 70 d.C. le legioni romane conquistano Gerusalemme e radono al suolo la città e il tempio, che viene distrutto per sempre. Protagonista di quei momenti, oltre ad altri valorosi soldati, è un centurione di nome Giuliano.

Lo storico Flavio Giuseppe, nella sua Guerra giudaica (VI, 81-90), racconta le gesta eroiche e la morte di Giuliano in una narrazione che ricorda una sequenza cinematografica. Secondo Flavio Giuseppe, Giuliano era il miglior soldato visto in azione in quella brutale contesa: il più abile con le armi, il più forte fisicamente e il più tenace. Durante l’assedio delle mura di Gerusalemme, il centurione si rese conto che i romani stavano retrocedendo. Si trovava accanto a Tito – il comandante romano, figlio dell’imperatore Vespasiano – sulla torre Antonia, quando «saltò giù d’un balzo e da solo respinse i giudei ormai vittoriosi fino all’angolo del piazzale interno. Dinanzi a lui scappavano tutti – spiega Giuseppe – convinti che qualcuno dotato di tale forza e coraggio non potesse essere un uomo. Egli, avventandosi qua e là nel mezzo dei nemici che fuggivano in ogni direzione, uccideva quelli che riusciva a raggiungere».

Nel Sarcofago di Portonaccio viene rappresentata la battaglia contro i barbari

Nel Sarcofago di Portonaccio viene rappresentata la battaglia contro i barbari

Foto: Andrea Jemolo / Scala, Firenze

Quest’azione, rischiosa al limite del suicidio, parve ammirabile al futuro imperatore, che vedeva i nemici fuggire terrorizzati. Ma il destino tradì Giuliano: i chiodi dei suoi sandali scivolarono sulle lastre del tempio e il centurione cadde di schiena. L’armatura sbatté a terra con gran fragore «facendo voltare gli avversari in fuga». A quel punto gli ebrei lo circondarono e lo attaccarono con le spade e con le lance. A terra il centurione poté proteggersi da vari colpi con lo scudo, ma ogni volta che provava a rialzarsi veniva di nuovo gettato al suolo dalla massa. Nonostante fosse a terra, riuscì comunque a ferire molti avversari con la spada.

Giuliano tardò a morire perché aveva tutti i punti vitali protetti dal casco e dalla corazza e teneva il collo incassato tra le spalle. «Alla fine, con tutte le membra amputate e senza che nessuno osasse aiutarlo, dovette soccombere […] dopo aver a lungo resistito alla morte e aver colpito molti dei suoi assalitori, con gran difficoltà fu finito». Flavio Giuseppe conclude la sua cronaca sottolineando che il futuro imperatore rimase profondamente commosso quando dalla torre vide morire colui che un attimo prima era al suo fianco. Il centurione Giuliano entrò nell’olimpo dei valorosi, cadendo con orgoglio e onore non solo davanti ai suoi compagni, ma anche di fronte ai nemici.

Vivere per la guerra

In tutto l’impero dovevano esserci costantemente all’incirca 1.800 centurioni. Uomini come Giuliano: energici, valorosi e spietati, capaci di incutere rispetto ai loro sottoposti e terrore al nemico. I centurioni erano i sottufficiali di più alto rango dell’esercito di fanteria legionaria (anche se alcuni autori li considerano ufficiali). Erano militari di carriera, cioè iniziavano come soldati semplici e salivano di grado per anzianità e per merito, scalando la struttura della legione. Una legione era formata da 10 coorti, numerate dalla I alla X, e ogni coorte si suddivideva in sei centurie di 80 soldati ciascuna. La promozione del centurione culminava con l’accesso al comando di una centuria della I coorte, la più importante di tutte.

A capo di tutti i centurioni di una legione c’era il cosiddetto primus pilus, ovvero la “prima lancia”. Era il primo centurione della I coorte, e i suoi compagni formavano il rango dei primi ordines, ossia quello dei centurioni di maggior grado e riconoscimento nella legione. Quando si ritirava, il primus pilus riceveva una ricompensa e il titolo di primipilare (cioè di ex primus pilus), proprio come un console diventava un consularis alla conclusione del suo mandato. I primipilari erano tenuti in particolare considerazione e potevano ottenere cariche come, per esempio, quella di prefetto dell’accampamento o di tribuno delle coorti di stanza a Roma. In epoca imperiale si poteva anche diventare centurioni dopo essere stati pretoriani, ossia membri della guardia personale dei sovrani, o grazie a una nomina diretta da parte dell’imperatore stesso, come accadeva nel caso di alcuni membri dell’ordine equestre (il gruppo sociale immediatamente inferiore a quello dei senatori).

La fine del tempio di Gerusalemme, di cui furono responsabili i centurioni durante la guerra dell’imperatore Vespasiano

La fine del tempio di Gerusalemme, di cui furono responsabili i centurioni durante la guerra dell’imperatore Vespasiano

Foto: Akg / Album

Al di sotto del centurione c’erano vari gradi. Lo assistevano, per esempio, i cosiddetti principales: un secondo ufficiale, o optio, il portatore di insegne, o signifer, e un ufficiale di guardia, il tesserarius, che aveva il compito di scrivere sulla tessera la parola d’ordine per accedere all’accampamento. Al di sopra del centurione c’erano gli alti ufficiali della legione e un tribuno, tutti di rango senatoriale, più altri cinque tribuni di rango equestre e un prefetto dell’accampamento o soprintendente generale. Una parte importante delle informazioni sui centurioni proviene dai monumenti funebri a loro dedicati, come la stele di Tito Calidio Severo, morto a 58 anni. Conosciamo la carriera militare di questo soldato grazie alla sua tomba, trovata nell’antica città di Carnuntum, nella provincia romana della Pannonia (attualmente in Austria). Qui è indicato che prima fu cavaliere, poi soldato scelto e decurione (ovvero comandante di un gruppo di cavalieri) in una coorte mista di soldati di fanteria e cavalleria reclutati nella regione delle Alpi, da cui il nome di cohors Alpinorum. Infine fu promosso al grado di centurione nella legione XV Apollinaris, di stanza a Carnuntum, dove Calidio Severo morì dopo 34 anni di servizio, secondo quanto riporta l’iscrizione del suo monumento funebre.

Centoventi frecce

Se le pietre parlano, lo fanno anche le fonti storiche. Il I secolo a.C., soprattutto gli ultimi anni della Repubblica romana, fu denso di campagne militari. Prima ci furono le guerre di conquista, come quelle di Pompeo in Oriente e di Giulio Cesare in Gallia; poi fu la volta delle guerre civili di cui furono protagonisti gli stessi Cesare e Pompeo. Le fonti letterarie del periodo sono ricche di descrizioni di azioni militari in cui i centurioni si mostrano valorosi e temerari. Spettatore e narratore di alcuni di questi episodi è proprio Cesare, nelle cui cronache della Guerra delle Gallie e del conflitto civile si susseguono scene di avventure e combattimenti, di morte e sopravvivenza, dove a volte affiorano nomi propri: quelli di chi si distinse per il valore, venendo così inserito nella narrazione come esempio per i posteri.

Forte di Viminacium (l'attuale Kostolac, in Serbia) sede della VII legione Claudia​

Forte di Viminacium (l'attuale Kostolac, in Serbia) sede della VII legione Claudia​

Foto: Akg / Album

È questo il caso del coraggioso centurione cesariano Marco Cassio Sceva, che combatté nella battaglia di Dyrrhachium (l’odierna Durazzo) contro i pompeiani nel luglio del 48 a.C. Cesare racconta di un durissimo attacco nemico contro le fortificazioni dove si trovava Sceva. Tutti i soldati risultarono feriti, quattro centurioni di una coorte persero gli occhi e, volendo lasciare una testimonianza del proprio sforzo e della pericolosa situazione, fecero sapere a Cesare il numero esatto delle frecce che erano state scagliate contro di loro: trentamila. Quando lo scudo di Sceva fu portato al cospetto del generale, presentava centoventi fori.

Questa è la testimonianza che ne dà lo stesso Cesare in La guerra civile (V, 44). Sceva, che era centurione dell’VIII coorte, fu promosso a primus pilus. Lo stesso Cesare lo premiò con 200.000 sesterzi e ricompensò il valore dell’intrepida coorte legionaria agli ordini di Sceva con denaro, vestiti e insegne. Altri autori riportano questo episodio e aggiungono ulteriori dettagli dello scontro: Sceva fu gravemente ferito a una spalla e una lancia gli trapassò un fianco. Sono fatti forse inventati, ma che mostrano la tendenza dei racconti sui guerrieri a passare in pochi anni dalla storia alla leggenda.

Pullone e Voreno

Le narrazioni di imprese come quella di Sceva hanno plasmato il ritratto del centurione romano come esempio di coraggio e colonna portante dell’esercito romano, un’immagine facilmente trasferibile allo schermo. Basta ricordare l’esempio della nota serie televisiva Roma, trasmessa con successo in tutto il mondo, che si sviluppa a partire dalla vita di due centurioni di Giulio Cesare: Lucio Voreno e Tito Pullone. I due lottarono al fianco di Cesare nella Guerra gallica, come racconta lo stesso generale, che riferisce del comportamento di entrambi durante l’assedio cui furono sottoposte le fortificazioni della IX legione dalla popolazione dei nervi nel 54 a.C., durante la rivolta di Ambiorige.

I due militari erano noti per essere in competizione per ottenere una promozione e proprio in quel periodo lottavano per ascendere a primi ordines, il rango più alto. Cesare racconta che, quando il combattimento ai piedi delle fortificazioni si fece più duro, Pullone disse: «Cosa aspetti, Voreno? Quando pensi di dimostrare il tuo coraggio?». E aggiunse che quel giorno si sarebbe decisa la loro disputa. Detto questo, Pullone scavalcò le difese e si avventò contro il nemico. Voreno lo seguì, temendo che gli altri potessero giudicarlo un codardo. Pullone scagliò il suo pilum e colpì un nemico che correva verso di lui. A sua volta, però, fu colpito da una lancia che gli attraversò lo scudo piantandosi nel balteo, la cintura di cuoio che reggeva la spada.

I nemici lo accerchiarono, ma a quel punto arrivò Voreno in suo soccorso. Questi uccise un avversario e costrinse gli altri a retrocedere. Tuttavia, poco dopo cadde in un fosso, dove sarebbe morto se non fosse accorso, questa volta Pullone, in suo aiuto. Alla fine riuscirono a tornare entrambi sani e salvi alle fortificazioni romane dopo aver ucciso molti nemici, senza che nessuno fosse in grado di dire chi dei due avesse dimostrato più valore. «La Fortuna li guidò in questa sfida» chiosa Cesare (La guerra gallica, V, 44). Pullone avrebbe dimostrato lo stesso coraggio anni dopo, durante la guerra civile, lottando contro lo stesso Cesare a Dyrrhachium dopo essere riuscito a far passare una parte dell’esercito dal lato dei pompeiani. Quest’ultimo elemento è significativo dell’ascendente che questo centurione aveva tra le truppe (Cesare, La guerra civile, III, 67).

Missioni speciali

Oltre alle operazioni in battaglia, i centurioni potevano svolgere anche missioni specifiche su mandato dell’imperatore, in veste di agenti speciali. Gli potevano infatti essere assegnati compiti particolarmente delicati. Ad esempio la missione di condurre a Roma i prigionieri che richiedevano una cura speciale, come potevano essere i capi delle popolazioni vinte o re come Antioco IV di Commagene, un alleato degli ebrei che era stato sconfitto da Vespasiano. Dopo la sua cattura, un centurione lo condusse in catene da Tarso fino alla capitale dell’impero (Flavio Giuseppe, Guerra giudaica, VII, 238).

Ai centurioni vengono affidati anche compiti di spionaggio, operazioni di intelligenza militare e comunicazione tra le truppe delle province e Roma. In altre occasioni si possono vedere insieme ai tribuni intenti ad amministrare la giustizia sul fronte di guerra (Guerra giudaica, III, 83), e in alcuni casi gli viene affidata l’organizzazione delle città appena sottomesse (Guerra giudaica, IV, 442)

A queste brevi storie se ne potrebbero aggiungere molte altre, tra cui alcune riportate ancora una volta da Flavio Giuseppe. Nel 63 a.C. Pompeo cercò di conquistare Gerusalemme. Al terzo giorno di assedio i romani distrussero una delle torri difensive, entrarono in città e si diressero al tempio. Racconta Giuseppe (Guerra giudaica, I, 49) che il primo ad attraversare le mura fu un ufficiale di nome Fausto Cornelio Silla, figlio di Lucio, e dopo di lui due centurioni, Furio e Fabio, seguiti dalle proprie truppe. Questi circondarono il tempio da ogni lato, uccidendo senza pietà coloro che cercavano rifugio nel santuario e chiunque opponesse la minima resistenza. A quel punto entrarono in azione i centurioni e le rispettive coorti che, spada alla mano, presero il tempio e sgozzarono i sacerdoti che erano intenti a celebrare le cerimonie.

Legionari raccolgono cereali durante la conquista della Dacia

Legionari raccolgono cereali durante la conquista della Dacia

Foto: Scala, Firenze

Di questo racconto colpisce l’impassibilità con cui i centurioni profanano il tempio. Il soldato, di fronte al nemico, lascia da parte ogni scrupolo morale (ammesso che ne abbia): lotta per la sopravvivenza. I centurioni sono soldati audaci, i migliori, quelli che si lanciano a scalare le mura per conquistare una fortificazione o una città (Guerra giudaica, I, 351). Sono coloro che eseguono azioni rischiose, che richiedono esperienza, sicurezza e un coraggio estremo. In altre occasioni il centurione, con un numero ridotto di uomini, agisce come un commando, in missione di ricognizione e intervento.

È sempre Flavio Giuseppe a narrare un’altra scena estremamente vivida. Durante l’assedio di Vespasiano alla città di Gamala un centurione di nome Gallo, nel pieno del tumulto, entrò in una casa con dieci soldati. Siccome Gallo era di origine siriana, capì la conversazione in corso tra gli abitanti dell’edificio, in cui colse una cospirazione contro i romani. Durante la notte Gallo tornò da loro e li uccise tutti, quindi rientrò sano e salvo nell’accampamento romano con i suoi uomini (Guerra giudaica, IV, 37-38).

Il centurione è dunque una figura decisiva nell’organizzazione militare romana. Forma parte dei consigli di guerra (consilia) dove dà al generale la sua opinione sulle tattiche, in base alle proprie esperienze belliche. In battaglia è in prima fila, a condurre con il proprio esempio e il proprio coraggio. In tempi di pace, si occupa della disciplina e dell’addestramento dei soldati.

In altre occasioni, al di fuori dell’accampamento, gli vengono affidate missioni speciali. La sua figura è imprescindibile e imponente, quindi non sorprende il fascino che continua ancora oggi a esercitare.

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