Il nome “Catone” così come l’aggettivo da esso derivato “catoniano” sono utilizzati, spesso in senso ironico, per indicare un individuo dotato di un rigido senso morale. In modo analogo l’espressione «atteggiarsi a Catone» è usata in relazione al comportamento di chi biasima la condotta di vita altrui considerandola sconveniente o immorale. All’origine di tale uso linguistico vi è la figura di un personaggio storico, che ha rivestito un ruolo di primo piano nella Roma repubblicana: Marco Porcio Catone. Egli viene generalmente indicato come “il Vecchio” o “il Censore” per distinguerlo da un suo omonimo pronipote, altrettanto famoso, vissuto alla fine della repubblica: Catone l’Uticense, che nel 46 a.C. preferì il suicidio piuttosto che consegnarsi al suo nemico Giulio Cesare.

Catone il Censore pronuncia uno dei suoi discorsi contro il crescente potere di Cartagine. Opera del XIX secolo
Foto: Scala
Già presso i suoi contemporanei, Catone il Vecchio ebbe fama di uomo dalla morale rigida e irreprensibile, a volte fin troppo. Per lo scrittore greco Plutarco, che gli dedicò una biografia nelle sue Vite Parallele, secondo quanto affermato dallo stesso Catone, «persone dalla vita dissoluta, se erano da lui redarguite, rispondevano che non era giusto rimproverarli: loro non erano dei Catoni», ossia non erano perfetti. Un secolo dopo la sua morte, avvenuta in tarda età nel 149 a.C., Cicerone, nel suo dialogo Catone Maggiore, sulla vecchiaia, inserì tra gli interlocutori principali anche Catone, presentandolo come un uomo anziano ma dallo spirito giovane. Un altro dei personaggi del dialogo ciceroniano, Scipione Emiliano, ne elogiava invece la saggezza, esprimendo grande ammirazione per il suo «squisito e profondo sapere in ogni cosa» e ancor più perché non viveva come un peso la vecchiaia «di cui non pochi uomini sono infastiditi quasi che pesasse sul loro dorso il monte Etna».
Marco Porcio Prisco nacque nel 234 a.C. a Tusculum, una città del Lazio che da poco era divenuta alleata di Roma. Marco era un contadino robusto, gran lavoratore e con una spiccata propensione all’arte oratoria. Proprio per la sua eloquenza e per l’abilità con cui difese in cause giudiziarie i suoi compaesani, questi ultimi sostituirono al suo cognomen Priscus, “antico”, quello di Cato, “Catone”, che significava “saggio”.
Vicino al suo podere, secondo il racconto plutarcheo, si trovava una casa di campagna che era appartenuta al console Manio Curio Dentato. Questi nel 290 a.C. aveva posto fine alle guerre Sannitiche e nel 275 aveva sconfitto a Benevento Pirro, re dell’Epiro. Pur avendo ottenuto per tre volte il trionfo, per la sua sobrietà e modestia egli era divenuto il modello dell’incorruttibilità degli antichi romani. Catone, osservando la piccola dimora e riflettendo sul semplice tenore di vita del grande console e stratega, decise di farne un modello della propria condotta.

Didracma d'argento, III secolo a.C. La parsimonia di Catone fu considerata da alcuni segno di grandezza d’animo, da altri una manifestazione di grettezza di spirito
Foto: Money Museum, Zurigo
Entrato ancora ragazzo nell’esercito, Catone nel 209 a.C. partecipò alla conquista di Taranto, un’antica colonia greca. Fu allora che entrò in contatto con la filosofia greca dei pitagorici. Qualche anno più tardi, un patrizio della più alta nobiltà romana che aveva dei possedimenti a Tusculum, Valerio Flacco, ammirato dal suo stile di vita austero, gli propose di trasferirsi nella capitale con lui per intraprendere la vita politica.
Da soldato a governatore
Fu così che Catone cominciò il suo cursus honorum, ossia la carriera politica le cui cariche si succedevano secondo un determinato ordine di successione. Dopo aver acquistato prestigio come avvocato nel foro, tanto che molti lo chiamavano “il Demostene dei romani”, a trent’anni fu eletto questore. Nell’esercizio di questo incarico partecipò alla Seconda guerra punica, al seguito del console Publio Cornelio Scipione, che per la sua vittoria a Zama contro Annibale nel 202 a.C. fu poi detto “Africano”. Fu proprio nella campagna d’Africa che ebbe inizio la sua inimicizia con Scipione Africano, che Catone biasimava «nel vedere quale lusso quello sfoggiasse e con quale sperpero distribuisse denaro alle truppe». A lui l’Africano rispondeva infastidito che «di fatti, non di spese egli era tenuto a rendere conto alla città».
Nel 199 a.C. fu eletto edile plebeo e l’anno dopo pretore in Sardegna. In questo tempo si guadagnò la reputazione di governatore onesto, parsimonioso e inflessibile nell’amministrazione della giustizia. Catone era famoso in tutta la città per la sua propensione al risparmio, al limite dell’avarizia, e per la sua predilezione per il cibo e il vestiario modesto. Ma si fece notare anche come uomo d’affari, dedito alle sue attività di trasporto marittimo e ai suoi campi. Plutarco, nella sua biografia, gli rimprovera la sua dedizione smisurata all’accumulo di denaro, anche tramite usura, e il trattamento eccessivamente duro che riservava agli schiavi della sua tenuta.

La battaglia di Zama. Olio su tela. 1570-1600 circa. Autore ignoto. Museo Puškin, Mosca
Foto: AKG / Album
Lʼascesa al consolato
Dopo il successo del suo governo in Sardegna, nel 195 a.C. Catone fu eletto alla più alta magistratura romana: il consolato. Il suo collega in questo incarico fu il suo amico e vicino di Tusculum, Valerio Flacco. In veste di console, gli toccò in sorte la provincia della Spagna Citeriore, dove sconfisse una coalizione di ribelli ed espugnò, a detta di Plutarco, circa quattrocento città. Il suo rivale, Scipione Africano, ottenne il governo della stessa provincia dopo di lui e si affrettò a far decadere Catone dal comando quanto prima per evitare che questi continuasse ad acquisire gloria con le sue vittorie. Il bottino conquistato da Catone andò a confluire totalmente nell’erario pubblico, a eccezione di una lauta ricompensa che consegnò ai suoi soldati. Non prese nulla per sé: arrivò al punto di lasciare in Spagna il cavallo con cui aveva conseguito tante vittorie, «per non mettere in conto allo Sstato le spese per il suo trasporto».
Celebrato il trionfo a Roma, invece di dedicarsi all’ozio dopo il ritiro dagli affari pubblici, decise di lanciarsi di nuovo nell’attività politica, offrendo la sua collaborazione ad altri generali e governatori provinciali. Accompagnò come tribuno militare il console Manio Acilio Glabrione in Grecia nella spedizione contro Antioco III di Siria, che aveva invaso la regione e aizzato le città greche alla rivolta contro il governo di Roma. Dopo aver contribuito in maniera decisiva alla vittoria di Acilio nella battaglia delle Termopili, nel 191 a.C., Catone tornò nell’Urbe.
A quarantaquattro anni Catone considerò terminata la sua carriera militare. Ma non per questo si spensero le sue ambizioni politiche. Al contrario, egli aspirava a una delle magistrature romane più prestigiose, quella di censore. I compiti del censore erano principalmente tre: anzitutto occuparsi del censimento dei cittadini romani; quindi la cura morum, ossia la vigilanza sui comportamenti degli individui e della società nel suo complesso; infine, la lectio senatus, ossia l’incarico di selezionare i candidati alla funzione di senatori.

Catone destinò il bottino della campagna in Spagna all’erario pubblico, senza tenere niente per sé. Sopra, il tempio di Saturno, sede del tesoro, nel foro di Roma
Foto: Shutterstock
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La coscienza di Roma
L’interesse di Catone per la carica di censore si spiega con il suo fermo proposito di ristabilire nella capitale quella che egli considerava l’autentica morale romana. Catone era indignato per l’influenza sulla contemporanea società di Roma della cultura e dei costumi greci, che considerava depravati e nocivi. Egli, tra le altre cose, riteneva la cura dell’abbigliamento e l’abitudine di radersi come una forma di effeminatezza, e per questo dettò la moda delle tuniche di lana logore e delle barbe non curate. Lanciò anche violente accuse di corruzione contro membri di spicco dell’élite romana. In questo modo accrebbe la sua popolarità presso il popolo, finché nel 184 a.C. riuscì a essere nominato censore.
Durante l’esercizio del suo incarico, Catone controllò le liste dei senatori e dei cavalieri, approvò misure contro i pubblicani (gli esattori delle tasse, detestati dal popolo per la loro avidità) e decretò pesanti imposte su articoli che considerava di lusso, come vestiti, carri e gioielli. Per anni lo si vide andare e venire dal foro, difendere cause, appoggiare riforme. Le sue frasi argute divennero celebri e sotto il suo nome circolò per secoli una ricca raccolta di sentenze.
Nella sua vita personale, tuttavia, Catone non fu sempre all’altezza di quanto pretendeva dagli altri. Rimasto vedovo della moglie e con un figlio già grande, iniziò una relazione con una ragazza che non solo era molto più giovane di lui ma era anche la figlia di un suo liberto: una scelta poco appropriata per un ex console e un ex censore. Quando la storia divenne nota al figlio e alla nuora, Catone si sposò con la giovane. Ebbe poi un figlio da lei.

Targhetta da collare in bronzo appartenente a uno schiavo. IV secolo d.C. Museo nazionale romano, Roma
Foto: Scala
L’implacabile odio per Cartagine
Catone nutrì sempre una profonda diffidenza nei confronti di ogni possibile contatto della società romana con la cultura e gli usi dei Paesi stranieri e fece di tutto per preservare la tradizione degli antichi. A questo scopo, nel 155 a.C., per esempio, fece in modo che fossero cacciati da Roma i tre filosofi greci che erano giunti da Atene in qualità di ambasciatori: temeva infatti che essi diffondessero tra i giovani idee sovversive. Inoltre, dopo aver riscontrato la ricchezza di Cartagine nel corso di una missione diplomatica, mise costantemente in guardia i suoi compatrioti contro la minaccia che la città continuava a costituire per Roma. Egli era convinto che fosse assolutamente necessario che Cartagine venisse annientata. Catone, però, non riuscì a vedere realizzato il suo desiderio: la città fu rasa al suolo tre anni dopo la sua morte, nel 146 a.C.
Poche delle misure appoggiate da Catone per imporre la disciplina ai romani sopravvissero a lungo. Un secolo dopo, in piena crisi della repubblica, la sua figura di patriota inflessibile veniva ricordata solo con nostalgia, come quella di un uomo appartenente a un passato ormai irrecuperabile.
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