Nell’Italia del XV secolo, divisa in stati in competizione tra loro, l’arte ebbe un ruolo fondamentale nell’esercizio del potere e della politica. A Firenze i Medici furono i più abili a sfruttare la cultura come strumento per tenere alto il prestigio internazionale di una corte altrimenti fragile. Lo stesso fecero i Gonzaga a Mantova, riunendo intellettuali e artisti tra i più celebri dell’epoca, come Andrea Mantegna (1430 o 1431-1506), che dal 1460 fino alla morte fu pittore di corte di Ludovico II Gonzaga (1412-1478).
Capolavoro di Mantegna per la corte mantovana è la Camera degli Sposi, o Camera Picta, una stanza pressoché cubica, di circa 8 metri per lato, posta nel torrione nord-est del Castello di San Giorgio, diventata il simbolo stesso del governo di Ludovico II e di sua moglie Barbara di Brandeburgo (1422-1481). Tra il 1465 e il 1474 Mantegna ne affrescò tutte le superfici, pavimento escluso, presentando la famiglia Gonzaga con naturalezza, in momenti di vita quotidiana.

Parete della Camera degli Sposi
Foto: Bridgeman / Index
Ma l’elemento più caratteristico della stanza è il soffitto, decorato con una struttura architettonica rappresentata con perfetta illusione prospettica, che culmina in un oculo aperto su un finto cielo, il primo trompe-l’oeil della pittura italiana. L’arte nel ’400 raramente è espressione di puro piacere estetico. È dunque lecito chiedersi chi sia, o cosa rappresenti, ogni figura ritratta da Mantegna. I personaggi che si affacciano dalla balaustra che circonda il finto oculo, però, continuano a sfidare gli esperti, ancora in disaccordo sui loro possibili significati.
Un ideale di bellezza
Un'interpretazione dello storico Rodolfo Signorini vede nella scena sul soffitto una raffigurazione dell’ideale di bellezza umanistica, ispirata a un testo greco di Luciano di Samosata (120-180 d.C.), La sala, molto noto agli intellettuali del ’400.
Nell'immagine del soffitto possiamo osservare, a sinistra del vaso di arancio, il gruppo di tre figure femminili che rappresenta la bellezza pudica. Si tratterebbe della stessa donna ripresa in tre momenti successivi: mentre si pettina, a metà dell’opera e quando, infine, appare bella, con un solo nastro a raccogliere la sua folta chioma (come si legge nel testo di Luciano). A destra del vaso, ci sarebbe invece una cortigiana, che a differenza delle tre non guarda benevola verso gli osservatori.

Al centro del soffitto della Camera degli Sposi un oculo apre l’ambiente verso il cielo, in un audace scorcio prospettico
Foto: Corbis
Il personaggio di colore con il turbante, infine, pare ostentare una capigliatura troppo elaborata e ricca di preziose perle: nella lettura di Signorini è la rappresentazione di quella che Luciano definisce la “burbanza persiana”, la boria dei barbari che confondono la vera eleganza, data dalla misura, con lo scintillio degli ori e degli eccessi. Mantegna si farebbe così portavoce del precetto umanistico che dà massimo valore al controllo delle passioni e alla moderazione, atta a guidare il buon governo.
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