Berenice, la principessa ebrea amata da Tito

Allo scoppio della prima rivolta giudaica, nel 66 d.C., il futuro imperatore Tito s’invaghì di una principessa locale in fuga. Ma il suo amore dovette cedere di fronte alla ragion di stato

Pochi personaggi dell’antichità hanno ispirato tanti pittori, drammaturghi, romanzieri e compositori d’opera come Berenice, principessa di Giudea del I secolo d.C. La sua sventurata relazione con l’imperatore Tito è diventata un archetipo del conflitto tra amore passionale e ragion di stato, sul drammatico sfondo della rivolta giudaica contro il dominio di Roma. La sua figura è stata spesso interpretata in una prospettiva romantica che rende difficile ricostruire il personaggio storico dietro la leggenda.

Berenice in un'incisione del 1850. Bibliothèque des arts decoratifs, Parigi

Berenice in un'incisione del 1850. Bibliothèque des arts decoratifs, Parigi

Foto: Dea / Scala, Firenze

Nata intorno al 28 d.C. in Giudea, Berenice era figlia di Marco Giulio Agrippa I, re di Giudea e Cipro, e nipote di Erode il Grande. All’età di circa tredici anni andò in sposa a un ricco ebreo di Alessandria, che morì senza aver generato discendenti. Poi fu data in moglie a suo zio Erode, re del territorio di Calcide (nel nord del Libano), da cui ebbe due figli. Quando questi morì, Berenice andò a vivere con il fratello Agrippa II, nel frattempo salito al trono di Giudea. Questo fu fonte di dicerie e accuse d’incesto che la perseguitarono anche in seguito al suo successivo matrimonio con il re Polemone II di Cilicia, che la donna abbandonò qualche tempo dopo per fare ritorno alla corte del fratello.

Come gran parte della sua famiglia, Berenice era filoromana, e allo scoppio della rivolta giudaica del 66 d.C. divenne un bersaglio diretto dell’ira del suo stesso popolo. Dapprima cercò di svolgere un ruolo di mediazione tra ebrei e romani, ma quando gli insorti diedero alle fiamme vari edifici della città, tra cui il suo palazzo, si rifugiò assieme al fratello Agrippa nell’accampamento che i romani avevano allestito alla periferia di Gerusalemme, portandosi dietro le sue ricchezze e la sua guardia del corpo.

Il generale innamorato

Nel 67 d.C. il generale Vespasiano, governatore della Siria in nome dell’imperatore Nerone, e suo figlio Tito raggiunsero l’accampamento per assumere il comando delle operazioni contro i ribelli. Fu lì, nella tenda di Vespasiano, che Berenice e Tito si conobbero. Le fonti dell’epoca non menzionano molti dettagli del loro incontro, ma gli storici successivi si sono dilungati sul fascino esercitato sul ventisettenne Tito da Berenice, una quasi quarantenne estremamente attraente. La componente del calcolo politico dell’incontro non è da sottovalutare: per un uomo ambizioso come Tito questa relazione rappresentava un modo di allearsi con l’aristocrazia orientale.

L'imperatore Tito. Busto di marmo. Musée du Louvre, Parigi

L'imperatore Tito. Busto di marmo. Musée du Louvre, Parigi

Foto: Pierre Philibert / Rmn-Grand Palais

Nel 69 d.C., mentre in Palestina l’esercito romano stava ancora tentando di soffocare la rivolta, a Roma scoppiava la guerra civile. Le sommosse nelle province e gli intrighi nella capitale si erano conclusi con il suicidio di Nerone, cui era succeduto Galba, già governatore della Spagna romana. Tito partì per l’Urbe per sostenere il nuovo imperatore e garantire la conferma del padre alla guida delle truppe impegnate nella guerra giudaica. Ma quando seppe che Galba era stato assassinato e sostituito da Otone, decise di rientrare in Giudea. Scrisse Tacito che «alcuni vollero spiegare il suo ritorno con una passione per la regina», perché «il suo spirito giovanile non era insensibile al fascino di Berenice».

Berenice a Roma

A Roma la crisi non accennava a placarsi. Otone si suicidò dopo essere stato sconfitto dalle truppe di un altro pretendente al trono, Vitellio, che pochi mesi dopo fu a sua volta ucciso dai sostenitori di Vespasiano. Dopo essersi fatto proclamare imperatore dalle legioni di Egitto, Siria e Giudea, quest’ultimo raggruppò un esercito nelle province orientali. Berenice e Agrippa decisero di sostenere Tito nella distruzione del loro stesso popolo, arrivando ad applaudire l’incendio del tempio di Gerusalemme.

Al termine del conflitto Berenice accompagnò Tito a Roma e andò a vivere con lui nella residenza imperiale, probabilmente con l’intenzione di sposarlo, anche se alcuni storici contemporanei mettono in discussione questa versione. Quel che è certo è che i romani non vedevano di buon occhio che una regina straniera andasse in moglie al brillante erede dell’impero, una situazione che ricordava troppo da vicino quella verificatasi tra Cleopatra e Giulio Cesare.

Distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Incisione di Louis Haghe da un’opera di David Roberts. XIX secolo

Distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Incisione di Louis Haghe da un’opera di David Roberts. XIX secolo

Foto: Bridgeman / Aci

Poi c’era Antonia Caenis, una liberta che fu a lungo l’amante riconosciuta di Vespasiano e che considerava Berenice una rivale. I romani tolleravano il concubinato di un imperatore che aveva già avuto eredi maschi, ma non quello di un principe nel fiore degli anni. Ciò precipitò la rottura tra Tito e Berenice e il rientro di quest’ultima in Giudea.

Alla morte di Antonia attorno al 75 d.C. Berenice decise di tornare a Roma, pensando probabilmente che non ci fossero più ostacoli che potessero frapporsi tra lei e il suo amato. Ben presto però si rese conto che le cose non stavano così. I consiglieri di Vespasiano – Muciano, Marcello e Cecina – continuavano a osteggiare il matrimonio dell’erede con una donna straniera e per giunta troppo anziana per dargli dei figli.

Il biografo Svetonio, nelle Vite dei Cesari, afferma che fu Tito a promettere le nozze a Berenice. Cassio Dione, un secolo e mezzo più tardi, racconta che la coppia viveva nel palazzo imperiale come se fosse già sposata. C’è anche la testimonianza di Quintiliano, oratore e avvocato ispanico all’epoca residente a Roma, che dichiarava di aver difeso la «regina» Berenice in un processo: non si sa se questo appellativo si riferisca alla sua appartenenza a una famiglia reale dell’Oriente o al suo status di concubina di Tito. Sia come sia, alla fine Berenice fu nuovamente costretta a rientrare in Giudea.

Frontespizio di 'Berenice' di Racine. Edizione di Claude Barbin. 1671

Frontespizio di 'Berenice' di Racine. Edizione di Claude Barbin. 1671

Foto: Leemage / Prisma Archive

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Un matrimonio fallito

Dopo la morte di Vespasiano nel 79 d.C. Berenice tornò a Roma per la terza volta, intenzionata più che mai a sposare finalmente Tito, nel frattempo divenuto imperatore. Gli ex consiglieri di Vespasiano continuavano però a opporsi al progetto. Tito fece giustiziare alcuni di loro, ma allo stesso tempo decise di rinunciare al suo amore, apparentemente a malincuore.

In realtà, la vicenda di Tito e Berenice è avvolta nell’incertezza. Tutte le testimonianze in proposito provengono da autori di parte: alcuni criticavano Tito per le sue presunte dissolutezze, altri invece ne elogiavano la fermezza per aver saputo rinunciare alla donna amata. L’unico punto su cui coincidono tutte è che i romani non apprezzavano per niente Berenice. Il poeta Giovenale, vissuto all’epoca dei fatti, scrisse per esempio di un anello di diamanti appartenuto alla principessa: «Una volta un re barbaro lo regalò a una donna incestuosa. Agrippa lo diede a sua sorella». È significativo che Giovenale non critichi Berenice per la relazione con Tito, ma piuttosto per il suo presunto incesto con il fratello Agrippa. Un incesto che, d’altra parte, viene menzionato quasi di sfuggita.

Tacito aveva un’opinione favorevole di Tito, che prediligeva rispetto al despota Domiziano sotto cui si svolse quasi tutta la sua carriera politica. L’autore elogia Tito per aver respinto Berenice, insinuando che questa avesse una cattiva influenza su di lui. Nelle opere dello storico ebraico Flavio Giuseppe – che fu forse il più grande sostenitore di Tito, probabilmente per i favori ricevuti da lui e da Vespasiano – non ci sono invece giudizi negativi su Berenice, ma sono riportate le voci sul presunto incesto. Svetonio, infine, è profondamente critico verso Tito, di cui elenca gli eccessi e che accusa di non aver mantenuto la promessa di matrimonio fatta alla principessa. In ogni caso, l’ultima notizia giunta fino a noi è che i due amanti si separarono. Da questo momento in poi le tracce di Berenice scompaiono dalla storia, senza che si sappia nemmeno come e quando morì.

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Per saperne di più

Teatro. Jean Racine. Mondadori, Milano, 2009
Vita dei Cesari. Tito Svetonio. Garzanti, Milano, 2007

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