«Era una mattina radiosa, che anticipava la primavera. Il cielo era azzurro, il sole sfavillava come uno specchio. Gli uccelli cantavano. Nei parchi e nei giardini le violette sbocciavano luminose [...] Sorde tuonarono le esplosioni, migliaia di occhi sorpresi e attoniti si levarono in alto. E videro come sulla città volava la morte... La morte di metallo. La morte nera e sinistra [...] La morte che era arrivata silenziosa, inattesa, tacita, scesa dagli spazi brillanti per mietere vite in fiore». Così recita il testo comparso sulla rivista catalana La Humanitat il 31 gennaio 1938, all’indomani di un terribile bombardamento aereo effettuato su Barcellona dall’Aviazione legionaria di Benito Mussolini.
Un mese e mezzo più tardi, dal 16 al 18 marzo 1938, pioverà su Barcellona un diluvio di metallo, ben quarantaquattro tonnellate di ordigni scagliati dai Savoia Marchetti e dai caccia, che non esiteranno a mitragliare i civili in fuga verso i rifugi. I bombardamenti italiani sulla Catalogna e su Barcellona sono una delle pagine più oscure e meno note della nostra storia, e hanno giocato un ruolo rilevante nella caduta della Seconda repubblica spagnola, nonché nei conflitti che sarebbero scoppiati di lì a poco.
Fotografia aerea di uno dei bombardamenti realizzati il 17 marzo 1938 dall’aviazione di Mussolini. Scatto da un bombardiere italiano
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La Guerra civile in Spagna
Il 14 aprile 1931 nella monarchica Spagna, reduce dalla settennale dittatura di Miguel Primo de Rivera, viene eletta la Seconda repubblica. La monarchia cade, il re Alfonso XIII Borbone lascia il Paese e una Spagna festante si avvia verso un cammino di riforme e di democratizzazione, non sempre semplice eppure promettente. Dal 1931 al 1936 la repubblica è confermata tre volte con libere elezioni, nonostante attriti, polemiche e disaccordi. Benché fragile resiste, mentre nell’ombra trama un gruppo di generali monarchici e conservatori, capeggiato da Emilio Mola, Francisco Franco e José Sanjurjo.
Francisco Franco accanto a due politici alleati
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Il 17 luglio 1936 i tre, assieme ad altri capi militari, guidano l’insubordinazione di migliaia di soldati, che si riversano per le strade dichiarandosi ostili alla repubblica. Il colpo di stato segna l’inizio di una cruenta lotta fratricida, in cui intere famiglie sono divise tra repubblicani e ribelli, tra rossi e “mori”. La Guerra civile spagnola non è solo un tragico scontro che polarizza un Paese intero, è un banco di prova per i nazionalismi che si stanno pian piano imponendo in Europa e per le forze democratiche a loro avverse.
Nel corso dei tre anni del conflitto, che porterà all’instaurarsi di più di trent’anni di dittatura, quella di Francisco Franco y Bahamonde, è l’intera Europa a schierarsi da un lato o dall’altro, in modo più o meno timido. Anche i singoli prendono posizione, decidendo per esempio d’imbracciare le armi per difendere la fazione repubblicana o anarchica.
Soldati delle Brigate internazionali
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Molti italiani partono alla volta della Spagna, vanno a combattere nelle Brigate internazionali, muoiono per quei valori che sono spagnoli ma al contempo universali. Tuttavia molti altri partono alla volta della Spagna per ordine di Benito Mussolini e dell’esercito italiano, che ancor prima dello scoppio della guerra hanno dato il proprio appoggio ai ribelli di Franco e Mola. Se potenze come la Francia e l'Inghilterra tentennano nel dare il sostegno al governo, infatti, la Germania nazista e l’Italia fascista non mostrano alcuna esitazione: forniscono armamenti, inviano truppe, appoggiano economicamente i soldati conservatori. E bombardano.
Truppe italiane intervenute nella battaglia di Guadalajara
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I bombardamenti sui civili
Fino ad allora i cieli avevano assistito a duelli tra piloti nemici, e mai a raid per annientare intere città. Durante la Guerra civile, infatti, le potenze tedesca e italiana testano la propria capacità di distruggere in massa il nemico, sia fisicamente sia psicologicamente. Caccia e bombardieri attaccano per la prima volta i centri abitati: è il caso di Guernica, vittima di un’incursione aerea il 26 aprile 1937, ed è il caso di Barcellona, che in due anni di bombe perde tra i 2.500 e i tremila civili e vede la distruzione d’intere aree abitate. Dal 13 febbraio 1937 Barcellona è un continuo risuonare di allarmi, sirene, spari, esplosioni, lamenti e grida.
Ad attaccare sono gli apparecchi della Legione Condor nazista e, soprattutto, dell’Aviazione legionaria fascista: Savoia Marchetti S.M.79 e S.M.81, caccia Fiat C.R.32 nonché incrociatori. Il primo assalto proviene da una nave, la Eugenio di Savoia, ancorata nel porto: il 13 febbraio 1937 colpisce la zona di Gràcia, uccidendo diciotto persone e causando le prime devastazioni. Di lì in poi, però, sono perlopiù i velivoli a minacciare Barcellona e a sganciare esplosivi di ogni sorta. Mussolini e il genero Ciano, ministro degli esteri, hanno infatti dislocato parte della flotta a Maiorca, nelle Baleari, per far sì che gli apparecchi deputati ai bombardamenti non debbano percorrere una distanza eccessiva e possano contare sull’effetto sorpresa. Gli scarsi mezzi della contraerea barcellonese non sono in grado di far fronte alle squadriglie aeree, e lasciano la popolazione alla mercé delle bombe.
Un aereo Savoia-Marchetti S.M.81 scortato da caccia Fiat C.R.32
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Barcellona tra morti e rifugi
Perché Barcellona? In realtà i bombardamenti sui civili colpiscono l’intera Spagna, ma si concentrano in Catalogna e a Barcellona perché queste sono sedi d’importanti industrie e perché Barcellona, in particolare, è il baluardo degli ideali repubblicani. Non solo: si trova nella retroguardia del fronte di Aragona, luogo strategico per l’esito della guerra. Si vuole così minare il morale sia dei cittadini sia dei soldati impegnati al fronte, che hanno spesso lasciato in città le proprie famiglie, bambini, donne, anziani. Proprio per questo non sempre le spiegazioni strategiche portano a comprendere appieno la ferocia degli assalti, tra i quali spiccano quelli del gennaio 1938 e del marzo dello stesso anno.
Il 30 gennaio 1938 ordigni italiani colpiscono la chiesa di Sant Felip Neri, dietro la cattedrale. Qui sono nascosti dei bambini madrileni scappati dalla capitale alla ricerca di un riparo sicuro. Un primo attacco ferisce e uccide molti di loro. Quando arrivano i soccorsi, i Savoia Marchetti tornano di proposito sullo stesso punto e sganciano altre bombe. Il conteggio finale è di quarantadue morti, perlopiù bambini, i cui corpi martoriati saranno esposti per giorni dalle foto della propaganda repubblicana.
Evacuazione di bambini spagnoli nel 1937. Il 30 gennaio 1938 perirono in un terribile attacco nella piazza di Sant Felip Neri, a Barcellona, 42 persone, per la maggior parte bambini
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Un altro terrificante apice è raggiunto il 16, 17 e 18 marzo 1938. Tra le 22:08 del 16 e le 15:07 del 18 marzo, gli aerei italiani effettuano tra i dieci e i tredici attacchi, con un intervallo di circa tre ore tra uno e l’altro. Bramoso di far dimenticare il duro smacco di Guadalajara, in cui le forze fasciste e ribelli erano state fermate da repubblicani e Brigate internazionali, a un anno esatto dalla ricorrenza Mussolini decide di procedere con un «martellamento diluito nel tempo» e lo comunica al generale Giuseppe Valle, capo di stato maggiore dell'Aeronautica, il quale trasmette l’ordine a Vicenzo Velardo, capo dell’Aviazione legionaria.
Nessun quartiere della città viene risparmiato, i morti sono 1.151, gli edifici colpiti 446. Chi non è riuscito a mettersi in salvo in uno dei 2.100 rifugi che i barcellonesi hanno costruito con le proprie mani e con i propri risparmi non scampa alle bombe. Palazzi sventrati, corpi calcinati, frammenti di arti, cadaveri sepolti sotto le macerie, smorfie di dolore e angoscia cristallizzate sui volti senza vita. Questo descrivono i testimoni dell’epoca, tanto che Galeazzo Ciano, all’inizio sostenitore dei bombardamenti sui civili, ne rimarrà profondamente turbato.
Conseguenze dell’attacco aereo italiano nella città di Granollers, in Catalogna, il 31 maggio 1938. Morirono almeno 224 persone. Per la ferocia dell’operazione venne inizialmente attribuito alla Legione Condor tedesca. Fotografia di Winifred Bates
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Nei giorni successivi alla strage di marzo vari giornali internazionali come il Corriere della Sera e il Times riportano la notizia, che purtroppo cadrà ben presto nell’oblio. I bombardamenti non cessano. L’anno dopo, alla fine della Guerra civile, la sorte di Barcellona passa addirittura in secondo piano: Franco si preoccupa di rimuovere parte della storia patria, cementificando gli ingressi ai rifugi e imponendo il terrore con arresti e fucilazioni; i vinti si apprestano a vivere decenni di esilio in terre straniere, o di silenzio nella Spagna ora ostile; gli alleati di Franco non faranno mai ammenda per i crimini commessi. E il mondo intero, alle prese con i fragili equilibri del nuovo conflitto mondiale, non ha più interesse a chiedere scusa o a ricordare quegli esperimenti di morte poi divenuti una spietata prassi durante la Seconda guerra mondiale. Anche il coraggio dei barcellonesi, tanto lodato da Winston Churchill, è trascinato via dal ticchettio del tempo. Barcellona è stata sola ed è rimasta sola, con i suoi bambini morti, gli ospedali bersagliati, i profughi nelle stazioni della metro, i calcinacci e la disperazione. Che sia un monito adesso, dunque, perché nessun popolo sia più lasciato solo.
Interno del Rifugio 307, situato nel quartiere di Poble Sec, a Barcellona. Era composto da 200 metri di tunnel
Foto: Farisori -CC BY-SA 4.0
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