Coloro che la conobbero la descrivono come una bambina sempre sorridente, con un interesse straordinario per la vita e un forte desiderio di viverla pienamente. Dicono che guardasse con occhi espressivi, che fosse vivace e che i suoi capelli, ricci e neri, fossero come una tempesta. Nella collezione della fondazione Anna Frank, una foto ritrae la bambina seduta al suo banco. Frequenta l'ultimo anno di scuola elementare, guarda direttamente la macchina fotografica e sorride mentre tiene in mano una matita come se stesse scrivendo. Anna era sicuramente contenta di questa fotografia, lei che sognava di essere una scrittrice e giornalista.

Anna Frank, la bambina che voleva diventare scrittrice
Foto: CordonPress
Milioni di persone hanno letto il suo diario, che è uno dei documenti chiave dell'orrore dell'Olocausto dichiarato dall'Unesco “Memoria del mondo”
E in realtà lo fu, per tutto il tempo in cui scrisse il suo diario. Pochi avrebbero potuto immaginare che quel piccolo quaderno foderato di panno a quadretti rossi e verdi, ricevuto in dono per il suo tredicesimo compleanno, sarebbe finito per diventare il suo migliore amico durante i lunghissimi venticinque mesi di clandestinità, il suo caro Kitty. E di certo non lei non poteva sapere che milioni di persone avrebbero letto il suo diario, che sarebbe diventato uno dei documenti chiave per descrivere l’orrore dell’Olocausto e che sarebbe stato dichiarato dall’Unesco “Memoria del Mondo”.
L’esodo e la nuova patria
Le cose non andavano bene nella Repubblica di Weimar: il crollo del 1929 portò l'economia mondiale in bancarotta. In Germania la disoccupazione e le preoccupazioni aumentavano. Come se non bastasse, nelle elezioni del 14 settembre 1930 più di sei milioni di persone votarono per quello che fino ad allora era solo un gruppo marginale, il Partito nazionalsocialista tedesco, guidato da Adolf Hitler. Ciò che sembrava improbabile divenne una minaccia.
Il 30 gennaio 1933 il presidente del Reich Paul von Hindenburg, malato e indebolito, nominò cancelliere del Reich Adolf Hitler. Hitler parlava di sradicare il "cancro della democrazia" e puntava il dito contro un nemico: gli ebrei. Per i Frank, come per migliaia di famiglie, era giunto il momento di partire.

Da sinistra a destra Margot, Otto, Anna ed Edith Frank
Foto: CordonPress
Otto ed Edith Frank, i genitori di Anna, decisero di emigrare nei Paesi Bassi. E non erano i soli. Le autorità olandesi per l'immigrazione calcolarono che tra il 1933 e il 1934 erano arrivati quattromiladuecento fuggitivi ebrei.
Ad Amsterdam la famiglia Frank si stabilì al numero 37 di Merwedeplain, al secondo piano. Era un quartiere confortevole, ma Edith non era felice e Otto passava poco tempo a casa, impegnato com’era con la Opekta, un’azienda specializzata in agenti gelificanti per marmellate. Anna e sua sorella Margot erano decisamente più serene dei genitori. Nonostante la sua salute delicata, Anna fu sempre il cuore della famiglia: loquace e divertente, era sempre sorridente, scherzosa e curiosa. Alcuni la descrivono anche come distratta, sapientona e ribelle, ma tutti concordano nel fatto che fosse una brava ragazza. Insomma, per Anna e la sua famiglia, sebbene con difficoltà, sembrava che la vita potesse seguire il suo corso normale. Ma l’Olanda era davvero al sicuro dai movimenti inquietanti di Adolf Hitler?
L’occupazione nazista
Da mesi non si parlava d’altro che di politica. Otto ed Edith, sempre più preoccupati, pensarono di lasciare Amsterdam per trasferirsi in Inghilterra, ma alla fine decisero di restare. Nel frattempo l'esercito nazista avanzava in tutta l’Europa come un fiume in piena: Praga cadde il 15 marzo 1939; il 10 maggio fu la volta dei Paesi Bassi e il primo settembre della Polonia. La Seconda guerra mondiale era iniziata.
L'invasione dell'Olanda da parte delle truppe tedesche fu una doccia d’acqua fredda per i Frank: «Nel maggio del 1940 i bei tempi cessarono: in principio ci fu la guerra, poi la capitolazione, quindi l’invasione tedesca e l’inizio delle sofferenze di noi ebrei», scrisse Anna nel suo diario il 20 giugno 1942. Il 13 maggio del 1940 la regina dei Paesi Bassi, Guglielmina, abbandonò il paese. Alcuni giorni dopo l’Olanda capitolò e intere colonne di soldati tedeschi entrarono ad Amsterdam con aria di sfida. Eppure la famiglia Frank viveva un paradosso: ora che erano più in pericolo che mai, l’azienda di famiglia stava finalmente iniziando a dare dei profitti dopo che Otto aveva deciso di ampliare l’attività anche al campo delle spezie. Appena sette mesi dopo l’invasione nazista Otto decise di trasferire la sede dell’azienda in un austero edificio in mattoni a vista, lo stesso che oggi ospita il museo e la Fondazione Anna Frank.

Il numero 263 di Prinsengracht, ad Amsterdam, l'edificio nel quale Anna e la sua famiglia rimasero nascosti durnte la Seconda guerra mondiale
Foto: The Granger Collection / Cordon Press
In realtà gli edifici erano due: il primo, che affacciava sul canale, era occupato dalle strutture Opekta e Pectacon, ma sulla zona posteriore c’era un’altra costruzione alla quale si accedeva attraverso uno stretto corridoio. In un primo momento Otto Frank decise di subaffittarne una parte e stare a vedere che profitti avrebbe generato. Intanto le leggi razziali diventavano sempre più restrittive e i nazionalsocialisti rafforzarono la loro stretta sulla "capitale ebraica", causando problemi alla compagnia di Otto Frank. Anna, nel suo diario, riportò l'elenco alcune delle misure adottate contro gli ebrei: «Gli ebrei devono portare la stella giudaica; gli ebrei devono consegnare le biciclette; gli ebrei non possono prendere il tram; gli ebrei non possono andare in auto, nemmeno se è di loro proprietà; gli ebrei non possono fare acquisti dalle 15 alle 17; gli ebrei possono andare solo da parrucchieri ebrei; gli ebrei non possono trovarsi per strada dalle 20 alle 6 di mattina; gli ebrei non possono andare a teatro o al cinema o in altri luoghi di svago; gli ebrei non possono frequentare la piscina, i campi da tennis e da hockey e quelli di tutti gli altri sport; gli ebrei non possono andare in barca; gli ebrei non possono praticare alcuno sport all’aperto; gli ebrei non possono trattenersi nel proprio giardino e nemmeno in quello di conoscenti passate le otto di sera; gli ebrei non possono andare a casa dei cristiani; gli ebrei possono frequentare esclusivamente le scuole ebraiche o altre simili. Così vivevamo senza poter fare questo o quello».
Anna annotò nel suo diario una lista di cose non permesse ai cittadini ebrei, come andare al cinema o a casa di cristiani
Il 9 febbraio 1941 ci fu il primo raid contro gli ebrei, mentre il Movimento Nazionalsocialista Olandese continuava a fare i suoi comodi. Alla fine di giugno del 1942 Otto ed Edith iniziarono a sentire voci sulla volontà dei tedeschi di deportare tutti gli ebrei residenti nei Paesi Bassi. La verità era che ormai Adolf Eichmann, ufficiale nazista e uno dei principali responsabili dell’Olocausto, aveva già concordato con Franz Rademacher, responsabile degli "affari ebraici", la deportazione di circa quarantamila ebrei ad Auschwitz.
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La casa sul retro
«Cara Kitty, da domenica mattina ad oggi sembrano passati anni. È come se il mondo si fosse capovolto, sono successe molte cose. Però, Kitty, sono ancora viva, come vedi, e questa è la cosa più importante secondo papà», scrisse Anna nel suo diario l'8 luglio 1942.
Il passaggio dei Frank alla clandestinità avvenne il 5 luglio 1942. Era stata una domenica normale fino a quando, verso le tre di pomeriggio, qualcuno bussò alla porta. Edith aprì e si trovò davanti il postino, che veniva a consegnare una citazione per Margot. La ragazza aveva appena sedici anni e veniva convocata presso il Quartier Generale del Servizio Obbligatorio in Germania, da dove sarebbe in seguito stata trasferita nel campo di concentramento di Westerbork.

Il diario di Anna Frank, che la bambina aveva chiamato Kitty
Foto: Pubblico dominio
Dodici ore dopo i Frank si diressero in segreto verso la sede dell’azienda di famiglia. Camminavano sotto la pioggia con indosso tutti i vestiti che riuscivano a portare. Tutto era stato preparato in anticipo senza che le ragazze lo sapessero: una libreria girevole dava accesso al retro della sede centrale. L'idea geniale era stata di Johan Voskuijl, che insieme a Bep Voskuijl, Johannes Kleiman, Victor Kugler, Jan Gies — che aveva contatti con la resistenza — e Miep Gies, diventarono i protettori dei Frank.
Quando Miep Gies chiuse alle loro spalle il passaggio che divideva l'angusto appartamento dal resto della casa, l’esterno fu come relegato a un’altra dimensione. Il mondo si ridusse a uno spazio di cinquanta metri quadrati occupati, inizialmente, da quattro adulti e tre giovani: i Frank, e i van Pels (Hermann, Auguste e il loro figlio, Peter). Qualche settimana dopo arrivò Fritz Pfeffer.
«Ovviamente non possiamo guardare dalla finestra oppure uscire. E poi dobbiamo essere silenziosi per non farci sentire di sotto», osservò Anna nel suo diario sabato 11 luglio 1942
La ragazza, scioccata dall'improvvisa svolta che stava prendendo la sua vita — erano fuggiti senza nemmeno dire addio ai suoi loro — visse quelle prime settimane nel nascondiglio come un'avventura. Alla fine avrebbero trascorso venticinque lunghi mesi rinchiusi. Anna visse in questo modo una settima parte della sua breve vita.
Nonostante Otto ed Edith avessero pianificato la logistica della clandestinità e spostato gradualmente nel rifugio tutto il necessario, la vita nel nascondiglio non fu facile. Proprio quando gli adolescenti cercano il loro posto nel mondo, Anna dovette condividerne uno spazio minuscolo con i suoi genitori e altri tre adulti, con poca privacy, senza la possibilità di uscire e sfogarsi. Era senza dubbio una situazione difficile, alla quale la ragazza si adattò con una certa maturità. Inoltre, con il passare del tempo, tutti persero le speranze che inizialmente avevano covato: che Hitler subisse una iniziale e determinante sconfitta.

Un passaggio nascosto dietro una libreria portava al rifugio di Anna e della sua famiglia
Foto: Pubblico dominio
Con pochissime cose da fare nel suo nascondiglio, Anna dedicava ore al suo diario. In un primo momento era come confidarsi con un’amica, ma successivamente sviluppò una grande attenzione allo stile, dimostrando buone capacità letterarie.
Registrò ogni cosa: le riflessioni sul suo rapporto conflittivo con sua madre, la convivenza sempre più difficile con gli altri clandestini, le sue paure, il terrore notturno dovuto agli allarmi antiaerei che la costringevano — a volte — a cercare rifugio nel letto dei genitori. Esistono passaggi in cui la ragazza riesce ad esprimere idee così profonde da essere usate ancora oggi: «Nell’uomo c’è proprio l’istinto di distruggere, di uccidere, di assassinare a sangue freddo e infierire, e finché tutta l’umanità, senza eccezioni, non avrà subito una grande metamorfosi, la guerra continuerà a infuriare, e tutto quello che è stato costruito, coltivato e cresciuto, sarà di nuovo distrutto e disintegrato, per poi ricominciare da capo!», annotò il 3 maggio 1944.
La deportazione ad Auschwitz
L'ultima pagina del diario di Anna riporta la data del primo agosto 1944, una dissertazione sulle contraddizioni di un’adolescente. Il 4 agosto dello stesso mese, verso le dieci di mattina, un’auto si fermò davanti all’edificio dove erano nascosti i Frank. Dal veicolo scesero il sergente delle SS Karl Silberbauer e diversi suoi subordinati. Qualcuno, apparentemente una voce femminile non identificata, aveva avvisato la Gestapo che c'erano diversi ebrei nascosti lì.
Gli otto detenuti raccolsero i loro pochissimi averi mentre venivano minacciati con le armi. Quando uscirono, la luce del sole li abbagliò: era la prima volta che mettevano piede fuori da venticinque mesi. Dopo l'arresto sia gli otto ebrei nascosti che coloro che li avevano aiutati furono portati al quartier generale del Servizio di Sicurezza. I primi furono portati rapidamente a Westerbork, mentre Johannes Kleiman e Victor Kugler furono mandati nel campo di concentramento per nemici del regime per aver collaborato con loro. Più tardi Otto Frank raccontò che Anna trascorse tutto il viaggio osservando il paesaggio. Forse pensava che, dopo così tanti mesi rinchiusa, fosse giusto sfruttare al massimo il momento, perché chi poteva immaginare cosa le riservasse il futuro?

L'entrata al campo di concentramento di Auschwitz
Foto: Roger Viollet/Cordon Press
Dopo aver superato una degradante visita medica i Frank furono ammessi nel campo di concentramento, obbligati a lasciare i loro vestiti e ad indossare una tuta da detenuto blu e delle scarpe di legno grezzo. Edith e le due ragazze finirono in una baracca con altre trecento donne, Otto invece fu mandato con gli uomini. Anna, Margot ed Edith avevano il compito di smantellare le batterie dell'esercito tedesco. Era un lavoro duro e malsano a causa dei vapori del cloruro di ammonio, ma almeno erano insieme, e le notizie delle sconfitte tedesche che giungevano al campo davano loro una piccola speranza di essere salvate.
Anna e Margot furono deportate da Auschwitz a Bergen-Belsen, dove morirono di tifo, nel marzo del 1945
Ma la salvezza non arrivò in tempo. Il 3 settembre 1944 le guardie del campo trasferirono mille e diciannove ebrei su un treno per il trasporto di bestiame. Molti morirono schiacciati. Il convoglio della famiglia Frank fu l'ultimo a partire per Auschwitz. Tre giorni e due notti dopo, arrivarono alla fatidica destinazione. In quel caos, Otto Frank vide per l'ultima volta Edith e le ragazze.
Quando le truppe dell’Armata Rossa entrarono ad Auschwitz gli uomini delle SS fuggirono. Ma era troppo tardi. Edith morì di fame il 6 gennaio 1945. Anna e Margot furono deportate da Auschwitz a Bergen-Belsen, dove morirono di tifo nel marzo dello stesso anno. Prima morì Margot e poi Anna, senza più nessuno al mondo che la confortasse. Solo Otto sopravvisse. Poche settimane dopo, il campo fu liberato dalle truppe inglesi.
Il diario di Anna Frank
Dopo l'arresto, Miep Gies raccolse il diario di Anna e numerosi fogli strappati che gli agenti delle SS avevano gettato a terra quando avevano registrato il rifugio. La donna li mise in un cassetto senza il coraggio di leggerli, con l'intenzione di restituirli alla ragazza non appena fosse tornata, dopo la guerra. Ma l’unico a fare ritorno fu Otto Frank. Fu lui che, sorpreso dal fatto che Anna avesse scritto il diario all’insaputa di tutti durante il loro periodo rinchiusi, non ebbe pace fino a quando non riuscì a pubblicarlo, realizzando così il sogno della ragazza.
Fu proprio Miep Gies una delle prime persone a valutare la pubblicazione del Diario di Anna Frank. Per lei, la vita e la morte di Anna Frank non furono un simbolo delle vittime dell'Olocausto, ma mostrano, in realtà, un destino individuale che si è ripetuto nei sei milioni di vittime. La storia che Anna ci insegna e che non si può dimenticare: secondo Miep Gies il destino di quella ragazza che sognava di diventare una scrittrice mostra la perdita irreparabile dell'umanità come conseguenza dell'Olocausto. Che cosa avrebbe apportato al genere umano Anna Frank se fosse vissuta? E tutte le altre vittime?
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