Alice Augusta Ball, una chimica contro la lebbra

All’inizio del XX secolo la chimica afroamericana scoprì un efficace rimedio contro la lebbra che sarebbe rimasto in uso fino agli anni quaranta. Tutti i meriti andarono però al preside della sua facoltà, che non le tributò alcun riconoscimento

“Effetto Matilda”: un’espressione sempre più spesso utilizzata per denunciare come i disequilibri di genere si manifestino anche all’interno del mondo della scienza, cancellando sistematicamente il contributo delle donne. A differenza dell’espressione “soffitto di cristallo”, che mette in evidenza quelle barriere di tipo sociale e psicologico, spesso invisibili, che limitano l’accesso delle donne ai posti di potere, l’effetto Matilda descrive una violenza culturale più diretta: l’appropriazione da parte di uomini di risultati raggiunti nel campo della ricerca da una donna. L’espressione è stata coniata nel 1993 dalla storica della scienza Margaret W. Rossiter a partire dal lavoro di un’attivista statunitense della fine del XIX secolo, Matilda Joslyn Gage. Gage aveva scritto un saggio intitolato Woman as an Inventor (La donna come inventrice), in cui citava numerosi esempi del contributo determinante ma non riconosciuto che le donne avevano dato ad alcune importanti invenzioni e scoperte scientifiche.

Un classico "effetto Matilda"

Quello di Alice Augusta Ball potrebbe essere un caso di effetto Matilda da manuale. Donna, afroamericana, conseguì giovanissima dei risultati di grande rilevanza nel campo della chimica. Ma a ventiquattro anni morì, probabilmente di tubercolosi, senza poter pubblicare i suoi studi, di cui si appropriò invece il preside della sua facoltà.

Fotografia di Alice Augusta Bell scattata nel 1915

Fotografia di Alice Augusta Bell scattata nel 1915

Foto: Pubblico dominio

Non sappiamo molto della vita privata di Alice Ball, se non che era la nipote di uno dei primi e più importanti fotografi afroamericani; che studiò chimica e farmacologia presso l’università di Washington e che nel 1915 fu una delle prime donne afroamericane a conseguire una laurea specialistica in chimica. All’università delle Hawaii Ball si dedicò allo studio dei principi attivi utilizzati nel trattamento del morbo di Hansen, ovvero la lebbra.

La lebbra è una malattia di origine batterica che produce delle lesioni dolorose sulla pelle e che ha afflitto l’umanità per svariati secoli – ci sono testimonianze della sua presenza già a partire dal II millennio a.C. Nel XIII secolo si diffuse in tutta Europa, diventando endemica. L’elevata contagiosità e l’assenza di cura fecero sì che i lebbrosi, già spesso marcati da un aspetto sfigurato, fossero oggetto di discriminazioni e persecuzioni, e venissero frequentemente rinchiusi in apposite strutture note come lebbrosari. Solo nel 1873 il dermatologo norvegese Gerhard Hansen scoprì che la lebbra era causata da un batterio, il mycobacterium leprae, che ebbe il triste merito di essere il primo a essere identificato come causa di una malattia umana. Fu il lavoro pionieristico di Alice Ball a permettere di trovare una delle prime cure alla lebbra, per lo meno fino a quando a metà del XX secolo non venne individuato uno specifico antibiotico.

Dalla pianta all'iniezione

Ball si era laureata con una tesi sui metodi per estrarre ingredienti attivi dalle piante medicinali. È per questo che, dopo il conseguimento del titolo, fu chiamata a collaborare presso l’Università delle Hawaii dal dottor Harry Hollmann. Hollmann stava studiando l’olio della pianta di chaulmoogra, una sostanza con proprietà antibatteriche che all’epoca era tra i pochi trattamenti conosciuti contro la lebbra, ed era utilizzato da secoli dalla medicina cinese e indiana per la terapia delle lesioni cutanee.

Le ricerche di Ball permisero d'identificare una delle prime cure per combattere la lebbra

Ma l’olio di chaulmoogra presentava dei problemi a livello di somministrazione. L’uso locale non sembrava particolarmente efficace e l’assunzione orale generava disturbi a livello gastrico. La densità della sostanza, inoltre, non la rendeva facilmente assorbibile dal corpo se iniettata. Hollmann comprese che per migliorare le terapie disponibili contro la lebbra avrebbe avuto bisogno di un’esperta in chimica dei prodotti naturali, e per questo assunse Ball.

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La giovane ricercatrice sviluppò rapidamente una tecnica per isolare gli ingredienti attivi dell’olio di chaulmoogra e renderli iniettabili. Il suo metodo si rivelò subito molto più efficace e sicuro di qualsiasi altro trattamento per la lebbra disponibile all’epoca, e permise di dimettere dagli ospedali molti pazienti.

Poi, improvvisamente, nel 1916 Ball morì. Non aveva ancora venticinque anni; non aveva ancora pubblicato i risultati dei suoi studi; ma aveva già lasciato la sua impronta sulla storia della chimica farmaceutica e sulla vita personale di decine di malati.

Pagina dell'Handbook of medical treatment. Mostra una donna malata di lebbra prima e dopo che le venisse iniettata la soluzione contenente i principi attivi dell'olio di chaulmoogra elaborata da Ball

Pagina dell'Handbook of medical treatment. Mostra una donna malata di lebbra prima e dopo che le venisse iniettata la soluzione contenente i principi attivi dell'olio di chaulmoogra elaborata da Ball

Foto: Pubblico dominio

E a questo punto avvenne qualcosa che nella storia della ricerca non è un fatto isolato: il tentativo di minimizzare – o annullare del tutto – il ruolo della donna nei progressi scientifici. A proseguire il lavoro di Ball ci pensò il suo supervisore, nonché preside della facoltà di chimica dell’Università delle Hawaii, Arthur Dean. Questi produsse grandi quantità di olio iniettabile e quindi pubblicò un articolo con i risultati delle ricerche, dove il nome di Alice Ball non era neppure menzionato. L’innovativa metodologia fu battezzata “metodo Dean”, e al suo sedicente creatore venne anche intitolato il campus dell’università.

Se il nome di Ball non è scomparso dalla storia è grazie al suo ex collega Hollmann, che decise di intervenire. Nel 1922 pubblicò a sua volta un articolo, dove rivendicava il ruolo della giovane chimica nelle ricerche, descrivendo in maniera dettagliata «la grande quantità di lavoro sperimentale [grazie alla quale Ball] aveva risolto il problema» di isolare i principi attivi dell’olio di chaulmoogra, e ridimensionando i presunti miglioramenti apportati al metodo da Dean.

Un riconoscimento tardio

Ma a dimostrazione di quanto il disconoscimento del lavoro scientifico femminile abbia un aspetto strutturale, l’intervento di Hollmann non fu sufficiente. Ci vollero quasi una novantina di anni perché l’università hawaiana riconoscesse a Ball il giusto merito della scoperta. Nel 2000 l’ateneo le ha dedicato ha piantato in suo onore nel campus un albero di chaulmoogra sotto il quale ha posto una placca commemorativa; e il governo delle Hawaii ha deciso di istituire un “Alice Ball Day”, per ricordare la ricercatrice e ridare la giusta centralità al ruolo della donna nella scienza (il 29 febbraio – una scelta dal sapore quasi ironico).

Nel 2019 la London School of Hygiene and Tropical Medicine, per celebrare il suo 120° anniversario, ha deciso di aggiungere il nome di tre donne a un fregio nella sua sede principale. Da allora Alice Ball gode della rassicurante compagnia di Florence Nightingale e Marie Curie.

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