Alessandro Magno e l'assedio di Tiro

Nel 332 a.C., durante la campagna contro l’Impero persiano, Alessandro Magno sottopose la città fenicia di Tiro a un duro assedio, che si concluse con il massacro dei suoi abitanti

Nel gennaio del 332 a.C., Alessandro Magno si presentò alle porte della città più ricca e potente della Fenicia: Tiro. Il suo esercito aveva inflitto poco prima una sconfitta devastante alle truppe dell’Impero persiano a Isso, nel sud-est dell’odierna Turchia, nella quale lo stesso re persiano Dario III era stato sul punto di essere fatto prigioniero. Dopo quella vittoria il condottiero macedone, una volta soggiogata l’Anatolia, intraprese la marcia che lo avrebbe condotto in Egitto attraversando Libano e Palestina. Molte città fenicie, come Arado, Biblo e Sidone, si sottomisero senza quasi opporre resistenza, ma gli orgogliosi tirii, antichi alleati del Grande re persiano, non erano disposti ad arrendersi facilmente al giovane sovrano giunto dall’Europa.

Tiro era stata annessa all’Impero persiano nel 538 a.C. La città cadde in mano a diversi dominatori e finì per fare parte della provincia romana della Siria. Nella foto, arco trionfale e strada romana. II secolo

Tiro era stata annessa all’Impero persiano nel 538 a.C. La città cadde in mano a diversi dominatori e finì per fare parte della provincia romana della Siria. Nella foto, arco trionfale e strada romana. II secolo

Foto: Gavin Hellier / AWL-Images

   

All’arrivo di Alessandro, il re di Tiro, Azemilco, era assente. Il condottiero macedone fu quindi ricevuto dal figlio e dagli anziani della città, che gli offrirono doni e una corona d’oro. Alessandro chiese loro che gli permettessero di officiare un sacrificio nel tempio del dio Melqart, identificato con Eracle, del quale si considerava discendente. I tirii si negarono, comprendendo che acconsentire avrebbe significato riconoscere la sua sovranità sulla città. Infuriato per quella sfida, la prima che incontrava nella sua avanzata verso Levante, Alessandro decise di prendere la città con le armi.

Tiro era divisa in due parti: la città vecchia, situata sulla costa, e la città nuova, costruita su un’isola a meno di un chilometro dal litorale. Quest’ultima era una cittadella praticamente inespugnabile, protetta da una poderosa cinta muraria e con due porti molto ben difesi che davano riparo a una temibile flotta. La conquista, dunque, non era un’impresa facile. Alessandro ne ebbe conferma quando in sogno gli apparve Eracle, che lo chiamava per nome e gli tendeva la mano dall'alto delle mura di Tiro. L’indovino Aristandro lo interpretò subito come un segno che la città sarebbe stata conquistata con grande fatica. Tuttavia, Alessandro proseguì nel suo intento, deciso, come aveva fatto a Tebe, Mileto e Alicarnasso, a non tollerare provocazioni né insubordinazioni.

D’altra parte, il re macedone aveva anche ragioni strategiche per conquistare Tiro. Se si fosse diretto verso l’Egitto senza conquistare la città, i persiani avrebbero continuato a essere padroni del mare grazie alla flotta alleata di Tiro, e lo stesso Dario III avrebbe cercato di tornare sulla costa della Siria invece di rimanere lontano, nelle regioni interne della Mesopotamia. Alessandro riteneva anche che la conquista di Tiro avrebbe indotto Cipro e le città costiere a schierarsi al suo fianco, fornendo i contingenti navali di cui aveva tanto bisogno.

Il 'Sarcofago di Alessandro' fu scoperto vicino a Sidone e raffigura una battaglia tra Macedoni e Persiani. Nella foto, cavaliere macedone. Museo Archeologico, Istanbul

Il 'Sarcofago di Alessandro' fu scoperto vicino a Sidone e raffigura una battaglia tra Macedoni e Persiani. Nella foto, cavaliere macedone. Museo Archeologico, Istanbul

Foto: Dea / Album

   

Una città quasi inespugnabile

L’assedio di Tiro durò sette mesi, dal febbraio all’agosto del 332 a.C., e attraversò varie fasi, con avanzamenti e arretramenti da entrambi i lati. Inizialmente i soldati macedoni scavarono trincee e prepararono le loro macchine d’assalto, mentre una flotta di circa duecento navi iniziava a circondare e bloccare la città. Per superare la barriera fisica rappresentata dall’insularità di Tiro, Alessandro e i suoi ingegneri costruirono un terrapieno, una lingua di terra lunga quasi un chilometro che collegava la costa con l’isola e tramite la quale contavano di far avanzare le truppe e le macchine d’assalto contro la fortezza. Scelsero una zona nella quale il mare era poco profondo e fangoso, in modo che il compito fosse più semplice, e come materiale utilizzarono le pietre e le macerie della vecchia Tiro, la città sulla costa, che i soldati macedoni avevano raso al suolo. L’opera progredì grazie all’inerzia dei tirii, che non credevano che il progetto potesse avere successo. Quando erano ormai a un centinaio di metri dall’isola, gli assedianti si resero conto che le acque diventavano improvvisamente più profonde; i tirii, dal canto loro, iniziarono a difendersi energicamente, lanciando sui Macedoni ogni tipo di proiettile dall’alto delle mura. Va ricordato che i distaccamenti più avanzati di Alessandro non erano costituiti da soldati, ma formati soprattutto da costruttori e operai. Inoltre, l’armata di Tiro continuava ad avere la meglio sulle duecento navi macedoni, e se durante il giorno gli assedianti avanzavano, i progressi erano vanificati durante la notte dagli attacchi navali dei difensori.

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Poderose macchine da guerra

Alessandro allora ordinò che si costruissero due grandi torri d’assedio ricoperte di cuoio e pelli animali per proteggerle dai dardi incendiari lanciati dai tirii. All’interno furono collocate catapulte e artiglieria di vario tipo. Per tutta risposta, i tirii riempirono di sarmenti secchi e arbusti una grande nave da carico destinata al trasporto di cavalli. Collocarono due alberi a prua, fecero modifiche per aumentare la capacità di carico della nave e la imbottirono di pece, zolfo e altri materiali altamente infiammabili. A poppa collocarono una pesante lastra di pietra, in modo che la prua risultasse più alta. Quando il vento volse a loro favore, soffiando verso il terrapieno macedone, rimorchiarono la nave con delle triremi e la scagliarono contro le due torri, che furono avvolte dalle fiamme. In quello stesso momento, i tirii uscirono a grande velocità dalla città e, imbarcati su navi leggere, abbordarono il terrapieno da diversi punti, distruggendo la palizzata e le macchine d’assedio macedoni.

L’illustrazione raffigura il momento in cui i difensori di Tiro scagliano una nave in fiamme contro le due grandi torri d’assedio macedoni che si avvicinano alle mura

L’illustrazione raffigura il momento in cui i difensori di Tiro scagliano una nave in fiamme contro le due grandi torri d’assedio macedoni che si avvicinano alle mura

Foto: Tom Freeman / NGS

   

Ma nemmeno allora Alessandro si diede per vinto: ordinò di costruire un terrapieno molto più largo, così da poter avere più spazio per altre torri, nuove macchine da guerra e truppe più numerose. In suo soccorso giunsero imbarcazioni da Sidone, da Rodi, dalla Licia e dall’isola di Cipro, formando una vera e propria armata che rimase alla fonda non lontano dal nuovo terrapieno, disposta parallelamente alla spiaggia e al riparo dal vento. Davanti a una flotta così imponente, i tirii rinunciarono all’attacco diretto e si concentrarono sulla difesa dell’ingresso dei due porti della città, chiudendo gli accessi con una fila compatta di navi.

Il pericolo maggiore era costituito dalle navi-ariete macedoni, formate da due imbarcazioni unite a prua, con un ariete sospeso sopra la coperta, pronto a sfondare le mura di Tiro. Per impedire che le imbarcazioni nemiche si avvicinassero alle mura cittadine, i tirii scagliarono un’enorme quantità di pietre in acqua, e quando le navi di Alessandro cercarono di attraccare più vicino, inviarono alcuni sommozzatori a tagliare le funi delle triremi dei Macedoni. Le truppe di Alessandro però furono più scaltre: sostituirono le cime delle ancore con catene di ferro. In fatto di guerra, seppur riferendosi a qualcosa che accadde molti anni dopo, si suol dire che colui che inventò il carro armato fece sì che immediatamente qualcun altro inventasse la mina anticarro, perché ogni arma ideata da uno dei nemici provoca una reazione corrispondente nello schieramento opposto. Qualcosa di molto simile accadde tra l’esercito macedone di Alessandro e gli ingegnosi difensori della città di Tiro.

Ricostruzione dell'assedio di Tiro da parte dell'esercito di Alessandro Magno. Le torri d'assedio si avvicinano alla muraglia

Ricostruzione dell'assedio di Tiro da parte dell'esercito di Alessandro Magno. Le torri d'assedio si avvicinano alla muraglia

Foto: Adam Hook / Osprey Publishing

Conquista e massacro

Dopo sette mesi di assedio, i tirii lanciarono un attacco a sorpresa e riuscirono ad affondare diverse pentaremi del re Pnitagora di Cipro, oltre alle navi di Androcle e di Pasicrate, comandanti della flotta cipriota, alleati dei Macedoni. Alessandro, però, rispose prontamente e condusse un contrattacco che distrusse buona parte della flotta di Tiro. Solo pochi giorni dopo il generale macedone ordinò l’assalto finale. Nell’operazione impiegò tutte le sue risorse umane e materiali: la flotta alleata attaccò i due porti della città, una flottiglia circondò le mura con arcieri e catapulte per colpire i difensori, mentre le navi-ariete, protette dalla flotta, caricavano le mura. Alla fine, i Macedoni riuscirono ad aprire una breccia nella muraglia, e quando Alessandro ritenne che il passaggio fosse sufficientemente ampio, le truppe di Admeto, gli ipaspisti (soldati di fanteria) e i lancieri del generale Coeno scalarono il muro, seguiti dallo stesso Alessandro, che uccise con la lancia e con il coltello e gettò in mare parecchi difensori.

Il massacro che seguì fu terribile. Sfiniti dopo un assedio tanto lungo e penoso, e dopo aver constatato con i loro occhi come i tirii decapitassero e gettassero in mare alcuni prigionieri dall’alto dei merli, i Macedoni agirono con estrema violenza. Se si vuole dare credito alle cifre che ci fornisce lo storico Arriano, durante l’assalto furono uccisi circa 8000 tirii e altri 2000 furono massacrati e crocifissi sulla riva. Quelli venduti come schiavi furono 30.000. Il bagno di sangue non impedì ad Alessandro di celebrare la vittoria con un sacrificio in onore di Eracle nel tempio di Melqart, dove lasciò come offerta al dio la macchina con la quale era stata abbattuta la prima parte della muraglia, e fece incidere un’iscrizione che forse fu egli stesso a comporre. Alessandro ringraziava così il suo antenato per il trionfo sulla città ribelle che aveva osato sfidarlo.

Illustrazione che raffigura la breccia aperta dai macedoni nelle mura di Tiro

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Foto: Bridgeman / Aci

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