9 agosto 1918. L’audace volo su Vienna di Gabriele D’Annunzio

Un mattino d’agosto di centocinque anni fa sette biplani italiani apparvero improvvisamente sui cieli di Vienna. Guidati dal poeta Gabriele D’Annunzio, gli aviatori rovesciano sulla città migliaia di volantini tricolore inneggianti all’Italia e alla vittoria

Ultima estate di guerra. A giugno l’esercito italiano respinge l’ultima grande offensiva dell’imperiale e regio esercito austro-ungarico sul Piave. Sulle acque del fiume che diventerà "sacro alla Patria", si combatte la seconda battaglia del Piave che Gabriele D’Annunzio ribattezza "battaglia del Solstizio", su cui poi scriverà «Tutta l’Italia aveva vent’anni per combattere, per vincere, per vivere, per morire». Ed è in questa calda estate del 1918 che si stanno consumando gli ultimi convulsi atti di quella immensa carneficina che fu la Prima guerra mondiale. Dalle trincee alle alte cime rocciose, dai mari ai cieli, ovunque si combatte, ovunque si muore. L’Italia avrà ben 650mila caduti, ma in questo Paese dove, per dirla alla Ungaretti, nessuna croce manca, non mancano neppure molti atti di valore e di eroismo fra i combattenti e di imprese che passano alla storia. E dove ci sono imprese ardite che possano colpire l’opinione pubblica c’è D’Annunzio. Solo che stavolta non è in prima fila per glorificare gesta con la penna e la parola, ma per compierle in prima persona. Così nasce il volo su Vienna, un’impresa concepita per colpire psicologicamente al cuore il nemico.

Il Leone di San Marco simbolo della 87ª Squadriglia Aeroplani

Il Leone di San Marco simbolo della 87ª Squadriglia Aeroplani

Foto: Alan Wilson - Ansaldo, CC BY-SA 2.0, https://rb.gy/1c9fs

Il leone torna a ruggire

La guerra nei cieli è combattuta da manipoli di pochi audaci che salgono in quota su aerei fatti di legno e tela per bombardare e mitragliare il nemico. D’Annunzio, sensibilissimo al tema aeronautico, intuisce che l’aviazione ha un potenziale propagandistico notevole. Progetta allora un piano audacissimo, condurre una squadriglia di biplani SVA, acronimo dei progettisti e costruttore Savoja-Verduzio-Ansaldo, per un volo provocatorio sopra la capitale austriaca. Stavolta però al posto di bombe e raffiche di mitraglia, si getteranno sopra la città migliaia di volantini tricolori per esortare i viennesi alla resa e dimostrare che l’Italia può arrivare ovunque. D’Annunzio presenta il suo ardito piano al comando supremo, il quale però gli vieta categoricamente di tentare una simile folle impresa. Si tratta, infatti, di volare per mille chilometri, ottocento dei quali in territorio nemico. Se il piano dovesse fallire, o se o peggio ancora D’Annunzio, che all’epoca è popolarissimo, venisse catturato o ucciso, l’Italia subirebbe un colpo durissimo a livello propagandistico. Ma il poeta non si dà per vinto e insiste, effettua anche un volo dimostrativo di mille chilometri sulle Alpi per dimostrare che è fisicamente in grado di affrontare una simile impresa.

Alla fine, il governo e il comando supremo autorizzano il raid, ma impongono una condizione ferrea: la squadriglia deve tornare indietro se ridotta a meno di cinque velivoli, altro termine coniato da D’Annunzio. Così, si approntano undici aeroplani SVA 10, ultimissimo modello, dell’87ª squadriglia Serenissima. I velivoli hanno il serbatoio appositamente modificato per il lungo volo, mentre l’aereo pilotato dal capitano Natale Palli diventa biposto per ospitare il poeta, che si accomoda proprio sopra il serbatoio aggiuntivo su un sedile prontamente ribattezzato ‘la seggiola incendiaria’. Sulle fiancate degli SVA campeggia l’emblema del leone di San Marco e il motto latino Iterum rudit leo - Il leone torna a ruggire.

D'Annunzio e Palli nello SVA modificato. Foto di Attilio Prevost

D'Annunzio e Palli nello SVA modificato. Foto di Attilio Prevost

Foto: Pubblico dominio

«Quel che potremo fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo»

Nei giorni che precedono il volo D’Annunzio scrive il testo dei volantini nel suo stile magniloquente: «In questo mattino d’agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo» e conclude «la lieta audacia sospende tra Santo Stefano e il Graben, una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l’Italia!». Ne stampano 50mila copie, ma il comando supremo, conscio che uno stile così aulico sia pressocché incomprensibile, specie nella traduzione tedesca, incarica lo scrittore e giornalista Ugo Ojetti, arruolato come regio commissario per la propaganda sul nemico, di redigere un testo più comprensibile e di facile traduzione che termina con l’esortazione, «Viva l’Italia, viva l’Intesa!». Così, a bordo degli SVA sono caricati 350mila volantini tricolore di questa versione, stampati in italiano e tedesco. Il raid però è più volte rinviato per condizioni metereologiche avverse, sin quando il 9 agosto 1918, il cielo si apre. L’ora è giunta.

Poco prima della partenza D’Annunzio riunisce i suoi piloti e li impegna in un giuramento solenne in cui dice che se non si arriverà a Vienna non si tornerà indietro, poi conclude: «Ma vi assicuro che arriveremo anche se dovremo attraversare l’inferno». D’Annunzio è talmente convinto di questo proposito che porta al dito addirittura un anello con del cianuro. Se dovesse cadere in mano nemica è pronto a compiere l’estremo gesto. Al grido di «Donec ad metam: Vienna! – Sino alla meta: Vienna!», motto ovviamente coniato dal poeta per l’occasione, alle 5.30 gli undici SVA decollano dal campo di San Pelagio (Padova). I prodigiosi biplani sorvolano i teatri di guerra, l’Isonzo, il Carso, superano le Alpi e percorrono mille chilometri seguendo null’altro che una bussola e una piccolissima carta topografica rotante, il rollino, che i piloti fanno scorrere man mano che il volo prosegue. Ed ecco che finalmente, dopo aver sorvolato ben ottocento chilometri in pieno territorio nemico, alle 9.20 dinanzi alle eliche degli inarrestabili SVA appare Vienna. I velivoli allora scendono a meno di 800 metri dal suolo e scaricano sulla capitale austriaca i 350mila manifestini tricolore. D’Annunzio getta i suoi da lui firmati. Gli abitanti sono attoniti. Il cuore dell’impero è violato dagli SVA italiani giunti «in questo mattino d’agosto per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo». Sono attimi febbrili, i viennesi osservano impotenti l’inconsueta pioggia di volantini, poi i velivoli invertono la rotta e alle 12.40 atterrano a San Pelagio. Il raid è compiuto. Ma all’appello mancano tre apparecchi che per varie avarie hanno dovuto abbandonare la missione. Un quarto invece compie un atterraggio di fortuna nei pressi di Vienna. Il pilota, Giuseppe Sarti, viene catturato ma il giorno successivo un aereo austriaco getta un messaggio al campo di San Pelagio informando che il pilota è sano e salvo. Sarà liberato alla fine del conflitto.

Testo italiano della traduzione tedesca del volantino scritto da Ugo Ojetti

Testo italiano della traduzione tedesca del volantino scritto da Ugo Ojetti

Foto: Archivio privato della famiglia Burzagli. https://rb.gy/523rw

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«Dove sono i nostri D’Annunzio?»

La missione ha un devastante impatto psicologico sugli austriaci. La stampa nemica è furente e non risparmia critiche feroci, come il Frankfurter Zeitung che si chiede come sia stato possibile che gli SVA italiani siano sfuggiti all’intercettazione. Pesantissimo poi il quotidiano socialista viennese Arbeiter Zeitung, polemico sulla condotta della guerra, che senza giri di parole sentenzia: «Wo Bleiben wenn unsere D’Annunzios? - Dove sono i nostri D’Annunzio?». Il giornale, infatti, punta il dito contro quegli intellettuali «che allo scoppiar della guerra declamarono enfatiche poesie e misero mano estasiati alla lira e cantarono canzoni tutte risonanti di armi» e che ora sembrano invece scomparsi. È un chiaro riferimento al poeta Hugo von Hoffmannstahl, all’epoca uno dei più famosi autori austriaci che si somiglia anche nello stile a D’Annunzio. A detta del quotidiano, von Hoffmannstahl manca di coraggio nell’imitare il collega italiano preferendo «starsene rintanato al calduccio in un archivio di guerra», mansione a cui è stato destinato sin dallo scoppio delle ostilità.

Se da un lato il foglio socialista accusa di codardia gli intellettuali austriaci, dall’altro loda l’impresa dannunziana, compiuta da un uomo ritenuto «gonfio di presunzione, oratore pagato per la propaganda di guerra grande stile» ma che ha effettuato un volo difficile e faticoso dimostrando di essere «all’altezza del compito malgrado la sua non più giovane età». D’Annunzio ha infatti già 55 anni. Notevoli, ovviamente, gli elogi della stampa italiana, come Il Corriere della Sera che il 10 agosto titola a caratteri cubitali ‘Otto velivoli italiani su Vienna’. Il resoconto è firmato da Guelfo Civinini, inviato di guerra e amico di D’Annunzio e che prende pure parte ai preparativi del raid, che definisce gli aviatori italiani «uno stormo di prodi degnamente guidati da un poeta». L’impresa del folle volo su Vienna compiuta grazie al genio e all’insistenza di D’Annunzio è consegnata alla storia. Saranno però ancora tre mesi di guerra e di caduti da entrambe le parti, prima che, come dice la canzone de La Leggenda del Piave, il nemico indietreggi fino a Trieste e fino a Trento e la vittoria sciolga le ali al vento.

9 agosto 1918. Gabriele D'Annunzio (davanti) e Natale Palli attimi prima del decollo verso Vienna

9 agosto 1918. Gabriele D'Annunzio (davanti) e Natale Palli attimi prima del decollo verso Vienna

Foto: Pubblico dominio

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