La vita in islanda. Litografia da 'Viaggio in Islanda e Groenlandia'. Parigi, 1842
Foto: Science Museum / Age Fotostock
L’8 giugno del 1783 si verificò una delle maggiori eruzioni vulcaniche mai registrate nella storia. Ebbe luogo in Islanda, nel sistema vulcanico del Grimsvötn, in seguito all’apertura di una faglia costituita da 130 crateri nel sottosistema chiamato Laki. L’attività vulcanica non cesserà fino al febbraio del 1784, estendendosi su un periodo di otto mesi, e i suoi effetti, secondo le notizie riportate sulle fonti dell’epoca, furono terribili, attestandosi sul valore 6 dell’indice di esplosività vulcanica utilizzato dagli esperti. Un’ampia zona della costa sudorientale dell’Islanda venne invasa e devastata dalla lava – secondo alcune stime, dall’eruzione si sarebbero generati 14 chilometri cubi di basalto. Allo stesso tempo, nel cielo dell’isola si espandeva una densa cappa di gas nocivi – l’attività vulcanica immise nell’atmosfera 120 milioni di tonnellate di anidride solforosa e 8 milioni di tonnellate di fluoro gassoso – e polveri che, in breve tempo, uccisero un quarto della popolazione islandese e quasi la totalità del bestiame e contaminarono le acque. Come se non bastasse, il fuoco dilagava bruciando la vegetazione.
La crescita del fiume Meno nel tratto verso Würzburg (Germania), nel 1784, fu una delle conseguenze dell’eruzione avvenuta l’anno precedente in Islanda. Incisione del XVIII secolo
Foto: Ullstein Bild / Getty Images; Color; Santi Pérez
Una cronaca scritta a Copenaghen che porta la data di settembre dello stesso anno descrive la sofferenza delle persone e alcuni dei terribili effetti provocati dalla lava. La costernazione e la paura s'impadronirono degli islandesi che, oltre a ignorare la reale portata del disastro, vedevano il proprio Paese coperto «dalle più orrende tenebre», prodotte dai «vapori di zolfo, salnitro, sabbia e cenere» emessi con l’eruzione. Il sole era visibile solo all’alba e al tramonto come «una grande massa di fuoco incuneata fra vapori densissimi». Inoltre, negli anni successivi una terribile carestia avrebbe colpito i superstiti.
Il viaggio della nube vulcanica
Gli islandesi furono ovviamente le maggiori vittime, ma l’impatto dell’eruzione andò molto oltre la loro isola. Spinta dai venti provocati dall’instaurarsi di un’insolita area di alta pressione sull’Islanda, la spessa nube tossica si spostò in direzione sud-est. A metà del mese di giugno raggiunse la Norvegia e la Boemia, il 18 dello stesso mese coprì Berlino, il 20 arrivò a Parigi e due giorni dopo a Le Havre. Il 23 di giugno la nube raggiunse le coste della Gran Bretagna, riempiendo il cielo di una polvere solforosa. Un caldo soffocante s'impadronì dell’atmosfera e i londinesi vissero un’estate senza precedenti. La stagione fu calda in modo anomalo in buona parte del continente europeo anche dopo breve tempo violenti acquazzoni e grandinate abbassarono le temperature. L’autunno fu più fresco e umido del solito e l’inverno seguente fu molto rigido. Le colture andarono perdute, originando carestia, fame, malattie. Il numero dei morti in Gran Bretagna fu enorme: si ritiene che i gas tossici presenti nell’atmosfera abbiano causato almeno 23.000 morti, e che a questi se ne siano aggiunti altri 8.000, stroncati dal freddo.
Una nebbia densa e persistente, che i raggi del sole non erano in grado di penetrare, occupò i cieli europei. L’aspetto del disco solare, che cambiava nel corso della giornata, aumentava lo sconcerto verso quello che le persone definivano come un «fenomeno incredibile e portentoso» per cui non si trovavano spiegazioni. In Inghilterra si era notato che il sole acquisiva a mezzogiorno un colore biancastro come quello di una «luna annebbiata» che disperdeva un caldo insopportabile e che arrivava a putrefare la carne da un giorno con l’altro. Da altre località giungeva notizia del fatto che, man mano che si faceva sera, le tonalità variavano, acquisendo un colore rugginoso che, alla fine, diventava rossiccio e alimentava un timore superstizioso che travolgeva gli animi. Questo cambio di colore «era sufficiente perché la popolazione si spaventasse; e in effetti la costernazione si diffuse fra le persone poco istruite […] la popolazione vive nel più grande conflitto, temendo grandi mali».
L’espansione dell’onda del vulcano
Foto: eosgis.com
Cambiamenti climatici
L’eruzione dei crateri di Laki cambiò la dinamica atmosferica durante l’anno 1783, fino al punto che i contemporanei pensarono che si stessero attuando cambiamenti di origine sconosciuta e temettero conseguenze terribili. Quotidiani e bollettini dell’epoca raccolsero nelle loro pagine le notizie su un’infinità di eventi accaduti fra il 1783 e il 1784 che venivano considerati indizi «di un disordine naturale». Fra questi, i terremoti di Calabria e Sicilia, Volinia (Polonia), Porto e Braga (Portogallo) e Provenza (Francia); le intense burrasche che si abbatterono sul Mare Adriatico, la minaccia di eruzione del Vesuvio e le gravissime inondazioni avvenute nelle regioni francesi dell’Alvernia e del Limosino, così come in buona parte della Germania, in particolare nella regione del Basso Reno, in conseguenza delle intensissime precipitazioni e del disgelo della neve accumulata sulle cime delle montagne.
Le conseguenze dell’eruzione non cessarono quando la nube si dissipò. Nel 1785 le condizioni climatiche che interessarono la Francia favorirono l’agricoltura, generando un’abbondanza di raccolti e una caduta dei prezzi dei prodotti; negli anni seguenti la produzione agricola fu penalizzata dalla siccità in estate, dall’eccessivo freddo in inverno e da violente grandinate che devastarono i raccolti. In questo contesto di carestia, nel 1789 sarebbe scoppiata la Rivoluzione.
Vista dell'insieme dei crateri del Laki. Fra il giugno del 1783 e il febbraio del 1784 dal vulcano fuoriuscirono 12,3 chilometri cubi di lava
Foto: Andreas Werth / Age Fotostock
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Conseguenze planetarie
In seguito al caldo eccessivo registrato nell’estate del 1783, la temperatura media nell’emisfero settentrionale scese bruscamente di circa tre gradi, circostanza che provocò la diminuzione della differenza termica esistente fra Eurasia e Africa e fra Oceano Indiano e Atlantico, limitando la capacità dei monsoni di generare le piogge che alimentano i corsi dei fiumi. Nel nord dell’Africa la temperatura aumentò di due gradi e la mancanza di precipitazioni fece sì che il Nilo non inondasse i terreni con le sue fertili acque, rendendo impossibile la semina in assenza dell’irrigazione necessaria. L’anno seguente accadde lo stesso, e la perdita di due colture causò una terribile crisi che decimò la popolazione egizia, come documentò l’orientalista francese Constantin Volney nel suo Viaggio in Egitto e Siria (1787).
Studi compiuti in epoca recente hanno dimostrato che, dopo l’eruzione, le temperature medie di Barcellona aumentarono durante le successive cinque estati e non registrarono variazioni apprezzabili durante la primavera e l’autunno, mentre in inverno vi furono mesi molto freddi. Queste alterazioni climatiche, avvertite e sofferte dai contemporanei, furono descritte e commentate dai quotidiani europei; ma nessuno giunse a collegarle con l’eruzione dei crateri di Laki salvo il politico e scienziato Benjamin Franklin, che, durante una conferenza tenuta il 2 dicembre 1784 di fronte ai membri della Literary and Philosophical Society di Manchester con il titolo Fantasie e congetture meteorologiche, dimostrò che era la tenace e secca nebbia proveniente dall’Islanda a coprire i cieli d’Europa, a impedire che penetrassero i raggi del sole e a generare le anomale e perniciose modifiche climatiche. Studi effettuati in epoca recente hanno confermato che Franklin aveva ragione.
Benjamin Franklin. National portrait gallery, Washington
Foto: Getty Images
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